ZERO
Ho sempre trovato affascinante e ricco di spunti lo zero e la sua storia. Ho iniziato quindi a mettere insieme un po’ di indizi.
Il simbolo dello zero -pare- derivi dalla lettera greca omicron che si ritrova nelle tavole di Tolomeo e Giamblico. Il nome per esteso era οὺδἐν (nulla). Gli indiani appresero -pare- la sua esistenza quasi certamente dai greci dopo le conquiste di Alessandro e nel tardo ellenismo. L’uso dello zero come numero in sé è un’introduzione relativamente recente nella matematica, che si deve ai matematici indiani. Un primo studio dello zero, dovuto a Brahmagupta risale al 628. Gli arabi appresero dagli indiani il sistema di numerazione posizionale decimale e lo trasmisero agli europei durante il Medioevo. Chiamavano lo zero “sifr”. Questo termine significa “vuoto” ma nelle traduzioni latine veniva indicato con “zephirum”, cioè zefiro, figura della mitologia greca, personificazione del vento di ponente. Fu in particolare Leonardo Fibonacci a far conoscere la numerazione posizionale in Europa: nel suo Liber abbaci, pubblicato nel 1202, tradusse sifr in zephirum; da questo si ebbe zevero e quindi zero. Anche il termine “cifra” discende da questa stessa parola, sifr. Quindi ouden; nulla, sifr; vuoto, zephirum, cioè zefiro (il vento di ponente), da cui zevero e alla fine zero. Un nulla che si specifica in vuoto, che diventa un vento e ritorna numero, che identifica un vuoto che specifica un nulla. Un nulla che messo accanto a un altro numero ne accresce (o decresce) il valore divenendo altro.
Lo zero, il meraviglioso “nulla” dialettico.